Matador (Parte 1)

In questi giorni mi sto riappassionando al cinema di Quentin Tarantino. Ho scoperto che lui parte a scrivere le sue sceneggiature dalla musica. Ascolta un pezzo e viene ispirato da quello. Non avevo la minima idea di questo. Perciò ho pensato di provare a fare lo stesso per scrivere un mio racconto. Per cominciare sceglierò un pezzo de “Los Favolosos Cadilacs” intitolato “Matador”. Mi sembrava giusto cominciare con qualcosa scritto nel mio paese d’origine. Spero che vi piaccia. Inoltre proverò ad inoltrarmi nel genere Pulp, cioè ” una produzione letteraria o cinematografica a carattere popolare, contraddistinta da una ricerca esasperata dell’eccessivo e del sensazionale”( significato tecnico preso dal dizionario di google) . Buona lettura.

 

 

L’orchestra ammaliava il pubblico della sagra di Crocetta, in quel posto esotico che sta tra la provincia di Treviso e quella di Pordenone. Le trombe trombettavano, gli archi danzavano sull’erba appena tagliata e il direttore Marco sbraitava con le mani dando vita a quella melodia altisonante. Il pubblico applaudiva ubriacato dal filosofeggiare delle mani di Marco. C’era tutto il paese per salutare l’ultimo giorno di sagra. La luna esplodeva in cielo coperta però da nuvole minacciose. La giornata era stata calda, bollente. Dopotutto siamo ad agosto. Anche adesso era chiara, bollente, grazie soprattutto alla luna. L’ultimo assolo di chitarra decretò la fine della melodia e un fruscio di mani sbatterono consequenzialmente in omaggio a Marco. Lui, impacciato si tolse gli occhiali alla Harry Potter e fece un maldestro inchino. «Bis! Bis! Bis!» urlava il pubblico in visibilio!

Imbarazzato Marco alza il braccio al cielo a mo’ di vittoria accontentando il pubblico. Questa volta propone qualcosa di più audace, qualcosa di più artistico. Un bel Verdi. Il pubblico apprezza e l’ammira agitare di nuovo le mani, tra un’ombra di vino e un panino con la pancetta. Si muove, si diverte è euforico. All’improvviso vede una luce diversa dalle spalle. Si sente tutto in vista, come se tutti gli occhi fossero adesso a lui. Ma non come prima, no! Era una sensazione diversa, non di euforia ma di paura. Si gira.

Le nuvole hanno fatto uscire la luna. La luna Piena.

I suoi occhi cominciano ad ingiallirsi. Impaurito scappa con il pubblico che rimane sbigottito e cerca di fermarlo.

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Dietro il tendone della sagra, Virginia e Vittorio stanno fumando un purino. Si sono messi lì nascosti dai loro genitori, in modo da avere un po’ di privacy. I giovani si amano, ma nessuno sa dei sentimenti che l’uno prova per l’altro. Quindi parlano del più e del meno, bevendo ombre di vino e fumando, cercando un coraggio che sembra assopito.

«Che bella è la luna piena, vero! Chissà quanto è lontana?» Fa il giovane.

«Io riesco a toccarla con la punta del piede, guarda?» Virginia alza il suo liscio e vellutato piede nudo, avvicinando il mignolo alla luna. La sua posizione distesa, con la gamba sinistra finemente allungata, valorizza il suo seno pronunciato, poi il suo vestito estivo le dà quel tocco sexy che risulta irresistibile per Vittorio. Virginia lo capisce e gli sorride. Poi gli prende le mani:

«Dai, andiamo a prenderci ancora da bere!»

«O… ok. »

Si alzano mano nella mano e cominciano a muoversi ma notano una sagoma indefinita che viene verso di loro. Barcolla e si dimena, da lontano sembra che si stia strappando i vestiti.

«Dai! Andiamo a vedere!»

«Guarda, Virginia, io lascerei anche stare, sembra che voglia starsene per i fatti suoi»

«Dai dai, non fare il fifone»

Virginia lo strattona con prepotenza e si dirigono verso quella sagoma.

Grugniti di dolore mischiati a un odore di cane bagnato si mescolano nell’aria. Piano piano i grugniti diventano un pianto di un cagnolino, poi piano piano assume suoni più selvaggi. La paura di dissesta nei due ragazzi. Virginia pronuncia strozzata da un senso di paura, un timido «sta bene signore?»

L’uomo, o la cosa, lo guarda dritta negli occhi. I suoi occhi sono gialli con una pupilla finemente allungata di colore nero tendente al rosso. L’uomo si alza diventando Cosa.  Un ululato risuona in tutta la cittadina. Poi un urlò. Poi silenzio.

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Il mattino seguente suona il telefono fisso del vecchio Bolivar. Aspetta il terzo squillo, poi, allontanandosi dalla nuvola di fumo del suo sigaro Cubano, va a rispondere

«Chi parla?»

«Sono il sindaco di Crocetta, ci serve il vostro aiuto! Si tratta di un’emergenza!»

Senza dire nessun’altra parola, taglia la conversazione, si dirige in garage a prendere il suo borsone nero e sfreccia con la sua Alfa Romeo Duetto rossa fiammante verso una nuova caccia.

 

 

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